Opinioni

Published on 31 Luglio, 2016 | by Piera Conconi

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Solidarietà con i centri antiviolenza a rischio chiusura

La Regione Sardegna nel 2007 (Legge Regionale 7 agosto 2007, n. 8) , dimostrò di essere all’avanguardia nella difesa dei diritti e della dignità delle donne e di tenere conto dell’indispensabile funzione che i centri antiviolenza svolgono. Con questa legge la Regione riconobbe che la violenza sulle donne è violenza di genere e costituisce un attacco all’inviolabilità della persona ed alla sua libertà, secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalle vigenti leggi.

La Regione riconobbe l’importanza dell’attività svolta dai centri antiviolenza e dalle case di accoglienza già operanti nel territorio regionale, valorizzava i percorsi di elaborazione culturale e le pratiche di accoglienza autonome ed autogestite dalle donne e garantiva la promozione di nuovi centri e/o case di accoglienza avvalendosi delle esperienze e delle competenze espresse localmente da enti, associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), che avessero come scopo primario la lotta e la prevenzione della violenza sulle donne e i minori e la solidarietà alle vittime e che dimostrassero di disporre di personale adeguato per i compiti predetti e di avessero almeno tre anni di esperienza nello specifico settore.

Purtroppo si parla al passato, infatti solo pochi giorni fa – secondo recenti notizie diffuse anche dalla stampa regionale – i centri antiviolenza della Sardegna, non sono più in grado di funzionare a causa dei ritardi e/o dei mancati finanziamenti da parte della Regione; la commissione regionale delle pari opportunità ha rilevato un’anacronistica volontà di ridimensionamento del ruolo degli otto centri antiviolenza presenti in Sardegna, con i conseguenti riflessi negativi sui diritti delle donne e dei minori vittime di violenza.

In passato Sardinianews ha intervistato Patrizia Desole, presidente di “Prospettiva Donna”, uno dei Centri antiviolenza presenti in Sardegna, quello di Olbia, la quale in quella occasione ci aveva parlato dell’importanza dei Centri che ospitano donne e bambini vittime di violenze continue, spesso subìte in famiglia, vittime che vengono accolte immediatamente dai Centri, che di solito vengono chiamati dalle forze dell’ordine, dalle procure e dai servizi sociali che sicuramente riconoscono l’importanza di queste strutture.

Oggi Sardinianews vuole essere solidale con Patrizia Desole, con tutto il personale che opera nel centro “Prospettiva Donna” e con gli altri sette Centri presenti in Sardegna, strutture che si basano sul lavoro di persone che hanno combattuto dure battaglie nel corso degli ultimi anni, che hanno spesso rischiato per la loro incolumità, ma soprattutto che hanno ridato la voglia di vivere a tante donne, molte delle quali sono state e lo sono ancora, ospitate nelle case protette gestite proprio dai centri, che si mantengono anche grazie ai contributi che la Regione ha sinora erogato.

Non si può sminuire né delegittimare tutto il lavoro e l’impegno profuso negli anni dai Centri, né soprattutto il ruolo che gli stessi hanno avuto nella vita di quelle donne e di quei tanti minori che sono stati sottoposti a violenze che hanno tolto loro una fetta di vita.

Ho sentito alcune delle ospiti del centro di Olbia e sono molto spaventate: – Il “Centro” – affermano – è stata la nostra salvezza, la salvezza dei nostri figli; siamo state aiutate da delle persone che ci hanno dato fiducia, che ci hanno ospitato nella casa protetta dove abbiamo iniziato a rivivere percorrendo una nuova strada, lontana dalla violenza di chi, senza nessuno scrupolo, ha abusato di noi, togliendoci la voglia di vivere; non possiamo pensare che non sarà più possibile continuare a garantire i servizi e accogliere le donne in pericolo come noi: che tristezza!-

Con la chiusura dei Centri ci si assume la responsabilità della mancata tutela delle donne considerate a rischio: questo è veramente triste e preoccupante, è un tuffo nel passato, è cancellare tutte le lotte e le battaglie sinora combattute.

Qui l’intervista:

Donne vittime di violenza. Anche nel Sarrabus: “Denunciate al 1522”

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