Published on 2 Marzo, 2016 | by Scuola Media - Terza C
“Ho girato il mondo da prigioniero di guerra”
L’intervista che pubblichiamo oggi è quella del signor Francesco Loddo, un arzillo vecchietto di soli 97 anni che ci ha parlato per più di un’ora della sua esperienza come soldato nella Seconda Guerra Mondiale. Signor Loddo vive a Muravera, ha perso la moglie lo scorso mese di luglio, vive da solo durante la giornata.
Guida una “moto ape” con la quale va a sino a San Giovanni, esce tutti i giorni e si reca in piazza Europa per trascorrere qualche ora in compagnia dei suoi amici. A volte va a fare visita ad altri amici meno fortunati di lui perché non possono uscire di casa a causa di problemi legati soprattutto all’età. Ogni giorno a casa fa attività fisica con la cyclette. Lui non ha mai combattuto in Italia ma in Africa.
“Ai ragazzi auguro benessere, anche perché vedo una situazione difficile, molto difficile, mi sembra che sia uno dei periodi più brutti da quando è finita la guerra”.
Come si chiama?
Francesco Loddo e ho 97 anni.
Ci racconta di quando ha ricevuto la chiamata alle armi e della sua esperienza in guerra?
Io sono stato chiamato, come tutti, per partire militare . Dopo mi hanno fatto andare in guerra.
Lei quindi è un ex combattente?
Sì, ho combattuto in Africa, precisamente in Egitto, 82°batteria contraerei. Lì mi hanno fatto prigioniero. Da prigioniero ho quasi girato il mondo, sono rimasto inizialmente in Africa a Massa Maluk prima e ad Alessandria d’Egitto dopo per una quindicina di giorni. Da lì, a piedi, siamo andati al canale di Suez per imbarcarci alla volta dell’India, a Bombay. Sono rimasto lì per due anni in un campo di concentramento dove non c’era nessuno dei miei vecchi compagni. Da quel campo mi trasferirono ad un altro destinato agli ufficiali.
Prima di partire in guerra io stavo imparando il mestiere di fabbro nell’officina di mio cognato, questo mi è venuto utile proprio quando ero in questo campo dove facevo lavori da fabbro. Un giorno arrivò il comandante della mia batteria e chiese se, tra i prigionieri ce ne fosse qualcuno del suo reggimento, gli risposero che c’ero solo io. Dovete sapere che io ero il beniamino dei miei ufficiali, mi volevano tutti molto bene, per cui appena seppe che ero lì, chiese se poteva vedermi. Vennero a informarmi e io chiesi il permesso al mio capo-officina che me lo concesse. L’incontro fu emozionante, più di quanto lo sarebbe stato tra padre e figlio. Mi chiese notizie degli altri, ma io purtroppo non ne avevo, ci eravamo persi durante i trasferimenti da un campo di concentramento all’altro.
Dopo Bombay fu la volta di Adelaide, in Australia. Io non volevo rimanere lì, avevo voglia di tornare in Italia, a casa. Lavoravo prima presso una famiglia che aveva un’azienda agricola, i Livingstone. In questa famiglia sono stato molto male, soffrivo non solo a causa della nostalgia , ma anche per la fame. Pensate mi davano da mangiare anche carne con i vermi. Io con loro non volevo starci, ero disposto a tutto, non solo a scappare, ma anche a morire. Il comandante capì la situazione e mi mandò presso un’altra famiglia, i Rossi, loro si che erano in gamba. La moglie mi voleva bene coma a un figlio. Loro avevano quattro figli, due maschi e due femmine, ma nessuno di loro voleva seguire le due aziende agricole della famiglia, per cui mi chiesero, anzi mi pregarono di rimanere per occuparmene io. Ma io, nonostante il fatto che mi volessero così bene, volevo tornare a casa dalla mia famiglia.
Sono stato congedato nel 1945. Sono partito dall’Australia con la nave, arrivato in Italia, sempre con la nave,mi sono imbarcato per Cagliari e da lì in pullman a Muravera: era il 5 novembre 1945.
Ha mai avuto paura in guerra?
No, non ho ma avuto paura. Ero risoluto, sapevo che dovevo combattere.
Ha mai ammazzato qualcuno?
Sì.
Ha mai visto morire un soldato suo amico o che lei conosceva?
Sì, ricordo ancora un amico, era romano, si chiamava Ciamarroni; gli avevano sparato al petto e quando è spirato io ero lì con lui. Prima di chiudere gli occhi disse: “Chi per la patria muore è vissuto assai”. Queste sue ultime parole le ho impresse nella memoria, non le dimenticherò mai.
Poteva rifiutarsi di partire o decidere di lasciare la guerra?
No, ti ammazzavano.
Chi ha lasciato a Muravera quando è partito?
La mia famiglia. Allora non ero neanche fidanzato, avevo una mezza parola con una ragazza e mi dispiaceva lasciarla. Sono partito il 4 marzo 1940. La mia famiglia durante gli anni di prigionia mi è mancata molto. Stare lontani non è bello, ma se stai lontano e sei anche in guerra, è troppo triste.
Cosa prova quando partecipa alla commemorazione dei defunti del 4 novembre?
Mi piace molto partecipare, ormai siamo solo in pochissimi, è commovente, ma è soprattutto un dovere e non devo mancare.
E’ ancora in contatto con qualcuno con cui ha condiviso l’esperienza della guerra?
No, non più. Alcuni anni fa ero dal barbiere e incontrai il maggiore Pili di Villasimius, con lui ricordammo l’esperienza in Africa. Lui era rientrato dalla guerra dopo di me.
Come comunicava con la sua famiglia?
Non si comunicava con le famiglie, non c’erano certo i mezzi che ci sono adesso.
Cosa pensa delle guerre che si combattono oggi nel mondo?
Mi spaventano. Io dico che della guerra se ne può fare a meno; oggi poi non si capisce più nulla, le notizie che sento al telegiornale mi fanno pensare che forse sarebbe meglio non guardare più la televisione. Mi piange il cuore quando sento parlare di bambini soldato, di donne violentate e uccise.
Ripensa mai al periodo in cui era in guerra?
Sì, mi capita. Mi piace parlarne perché tutti devono sapere cosa è successo e noi, che ci siamo stati, abbiamo il dovere di raccontare; voi dovete ascoltare gli insegnanti che vi aiutano a capire meglio.
Ha qualche messaggio da dare a noi ragazzi?
Sì, vorrei dire ai ragazzi di essere più rispettosi, sto vedendo poco rispetto nei confronti degli adulti e non solo. Io auguro loro benessere, anche perché vedo una situazione difficile, molto difficile, mi sembra che sia uno dei periodi più brutti da quando è finita la guerra. Io non faccio politica, ma i partiti politici sono troppi e non riescono a guidare il paese. Non è possibile che non ci sia lavoro e, per i nostri giovani, un avvenire senza lavoro non è un avvenire. Io non credo che i giovani non vogliono lavorare, il fatto è che lavoro non ce n’è.