Cultura

Published on 6 Agosto, 2014 | by Redazione

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Il Sarrabus e quei legami insospettabili col Belgio ed il Congo

Alzi la mano chi avrebbe mai sospettato che fra Sarrabus, Belgio ed il lontano e misterioso Congo ci fosse un legame forte che ha segnato la storia del sud-est della Sardegna. Cos’hanno a che fare questi paesi apparentemente così lontani?

Eppure nelle pieghe della storia della Sardegna contemporanea c’è proprio questo aspetto poco conosciuto: l’arrivo, all’inizio degli anni Sessanta nella sua zona sud-orientale di cittadini belgi, molti dei quali ex-coloni provenienti dall’ex Congo Belga che impiantarono proprio nel Sarrabus numerose aziende agricole dando vita ad una comunità che fino agli anni Novanta era forte di quasi un centinaio di persone.

Non basta. Insieme a loro, sempre all’inizio degli anni Sessanta, arrivarono altri belgi, non sempre direttamente legati alle vicende relative all’ex colonia del Congo, giunti in Sardegna attirati dal miraggio Costa Smeralda, quella zona della Sardegna nord-orientale che in quegli anni cominciava a prendere forma come paradiso del turismo d’elite.

Il Sarrabus, ed in particolare la zona corrispondente all’odierna Costa Rei sembrò loro un autentico Eldorado, il luogo ideale, anche grazie ai prezzi relativamente bassi dei terreni sul mare, per impiantare delle attività turistiche e avviare operazioni immobiliari in una terra inaccessibile e spopolata.

Si tratta di due persone molto diverse fra loro: Guido Van Alphen, classe 1939, e Jacques Piefbeuf, classe 1934. Il primo vive e lavora in Belgio nell’agenzia immobiliare di famiglia ed è attratto dalla Sardegna, in cui vedeva la possibilità di forti profitti nel settore turistico. Il secondo è un agronomo nato e cresciuto in Congo, ha lavorato a lungo come agronomo in un’azienda agricola di proprietà di connazionali belgi. Dal Congo è dovuto fuggire nel 1961 insieme alla famiglia all’esplodere di un sanguinoso conflitto civile seguito all’indipendenza del paese.

Il primo, in ordine di tempo, ad arrivare in Sardegna fu Piefbeuf: cercava un luogo dove poter impiantare un’azienda agricola sul modello di quella che aveva lasciato in Congo e l’Isola, per via del clima, gli era sembrata il luogo più favorevole. Piefbeuf, pioniere dei belgi nel Sarrabus, fonda una fiorente azienda che ha nella produzione di agrumi il suo punto di forza. Non essendo un ex proprietario di azienda agricola in Congo, non usufruisce degli aiuti che il governo belga accorda agli ex coloniali, un prestito di circa due milioni di franchi, ma ottiene comunque assistenza e appoggio dalle autorità regionali sarde, l’assessorato all’agricoltura prima e l’ispettorato agrario di Muravera poi, per cercare terreni agricoli che facciano al caso suo.

A Piefbeuf si aggiungono presto altri belgi, ex-coloniali che raggiungono il Sarrabus per impiantare anch’essi aziende agricole. La loro comunità arriva a contare, fino agli anni ’90, quasi un centinaio di persone, e ha il suo cuore pulsante a Colostrai, dove sceglie di stabilirsi la maggior parte di loro.

Ora i belgi presenti nel Sarrabus sono poche decine. L’attività dell’azienda dei Biefbeuf, nel corso degli anni è cresciuta e conta 44 ettari di territorio di cui la metà occupati da agrumeti e gli altri lasciati a pascolo. Gli affari non vanno bene, a causa della spietata concorrenza degli altri paesi del Mediterraneo produttori di agrumi.

Tra i belgi che hanno scelto di dedicarsi all’agricoltura nel Sarrabus, c’è anche chi si è riconvertito al turismo aprendo un bed&breakfast nella sua tenuta di Colostrai: si tratta di Noel Dumont de Chassart, classe 1942, discendente di una grande famiglia di imprenditori, fra i primi ad aprire un’industria agro- alimentare in Europa, ai primi del novecento. Una scelta, quella di Noel Dumont de Chassart, figlia della crisi del mercato degli agrumi nel Sarrabus, causata dalla forte concorrenza degli altri paesi del Mediterraneo, nord-africani in particolare.

La vera novità per il Sarrabus degli anni Sessanta è la scoperta del turismo. Il pioniere è Guido Van Alphen, belga, classe 1939, figlio di un agente immobiliare di un centro nei pressi di Anversa che arriva nel Sarrabus nel 1962. Le terre “vergini” sul mare dell’attuale Costa Rei, vengono viste da giovane Van Alphen come una sorta di Eldorado.

Dopo di lui, coinvolti dallo stesso Van Alphen, sono arrivati altri suoi connazionali, fra cui Yvan Verschelden ed Hermann Tailleu (giusto per citare coloro che, nel bene o nel male hanno lasciato una traccia nella storia locale) che hanno contribuito a fare di Costa Rei una zona turistica. Nel 1962, trovare ampi terreni sul a prezzi ragionevoli non è un’impresa difficile per Van Alphen e i suoi soci che acquistano a più riprese ampie porzioni di territorio da due famiglie di allevatori di Villagrande Strisaili e dal Comune di Muravera.

Erano anni caratterizzati dalla totale assenza di norme urbanistiche e di tutela del paesaggio. Nascono l’hotel Villa Rey e le prime villette sul mare progettate dall’architetto belga Eric Balliu, per armonizzarsi col territorio.
Nel 1965 il Comune di Muravera approvò il “Piano Urbanistico di massima per la valorizzazione e trasformazione turistico-residenziale del comprensorio di proprietà comunale lungo il litorale tirrenico”, strumento ideato per alienare a privati (fra cui gli imprenditori belgi) diversi appezzamenti di terreno, principalmente nella zona di Piscina Rei- Monte Nai. Si trattava però di terreni gravati da usi civici che non potevano essere oggetto di compravendita a meno che non fossero stati liberati da questo gravame.

Il tutto è stato causa di non pochi problemi risolti solo nel 1997. La storia del pioniere Guido Van Alphen non è a lieto fine: alla fine lascerà l’isola per il fallimento delle sue iniziative. Sullo sfondo di queste vicende rimane la storia di persone, i belgi giunti nel Sarrabus. Due mondi, due diversi modi d’intendere la vita, quello dei belgi giunti nel Sarrabus per realizzare profitti col turismo e quelli arrivati per avviare aziende agricole simili a quelle lasciate in Africa.

Solo i secondi diedero vita ad una vera e propria comunità, unita anche quando fu necessario far fronte a tentativi di speculazione edilizia nelle terre limitrofe alle loro. Gente legata alla terra, all’agricoltura, produttori di agrumi soprattutto, che si integrò alla perfezione con la popolazione sarrabese.

(A cura di Michele Garbato)

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